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AVELLINO - La fontana di Bellerofonte #laculturanonsiferma


fontana bellerofonte

 

Nel ridisegno e restyling urbanistico della città, voluto ai principi Caracciolo a cominciare dalla fine del XVI secolo proseguendo l’illuminata opera di Maria de Cardona, si cominciò a dare un assetto ordinato ai borghi sorti ai piedi della collina della Terra, nucleo altomedievale di Avellino. Durante il principato di Camillo Caracciolo, nell’intento di collegare i vari borghi tra loro, si cominciò la nuova costruzione o il livellamento delle strade, specie quelle che si snodavano intorno alla Dogana e lungo via Costantinopoli. Proprio su quest’ultimo asse viario, allo scopo di allargare l’abitato, fu abbattuta la cinta muraria medievale essendo stata progettata la costruzione di nuove mura che includessero i borghi sorti sulle sponde del fiume Fenestrelle.

 Ed è proprio sulla strada maestra, che alla Dogana, alla Piazza, e fino alla Porta, che dicon di Puglia, mena con somma agevolezza i forestieri, - dice il gesuita P. Francesco De Franchi nel volume Avellino illustrata da’ santi e da’ santuari, edito nel 1709 – che Francesco Marino Caracciolo, IV principe di Avellino, concentra la sua attenzione per offrire una nuova immagine della città, con strade di collegamento ben distribuite, un assetto urbano ordinato e rispondente al gusto scenografico dell’arte barocca. Questa, e le altre strade tutte per la Città sono state novellamente lastricate di marmi, e ripartimenti di pietre vive, a spese ben ample del Pubblico. E sono adorne in varie parti della Città di comodissime Fontane, non senza vaghezza di belle statue, e lavori di marmi, e d’altre pietre colle loro Inscrizioni dice sempre il De Franchi riferendosi a via Costantinopoli. La fontana a cui si riferisce è quella detta di Bellerofonte o popolarmente dei tre cannuoli per la presenza di tre bocchette di acqua proveniente dal Monte Partenio, probabilmente costruita nel luogo dove già in epoca medievale era presente una fonte che mascherava una poterna, una sorta di porta di emergenza, nascosta nelle mura di cinta del borgo fortificato.

Francesco Marino Caracciolo commissionò nel 1669 l’opera a Cosimo Fanzaga, artista nato a Clusone (Bg) in una famiglia di scultori in bronzo, e documentato a Napoli il 12 agosto 1612 in un contratto di lavoro con l’artista fiorentino Angelo Landi. Nell’atto redatto dal notaio Pietro Giordano, il giovane Fanzago dichiarò di essere giunto a Napoli già da quattro anni e che viveva a casa dello zio paterno Pompeo per imparare l’arte di scultura di marmo. Quindi a diciassette anni l’artista si ritrovò nella capitale del Regno che ferveva di attività artistiche in gran parte ancora legate al classicismo manieristico, ma dove già cominciava a diffondersi il linguaggio naturalistico al quale Fanzago aderì con entusiasmo negli anni ’20 del Seicento.

Negli anni all’attività di scultore il Fanzago affiancò quella di architetto ed urbanista che esercitò al meglio, nella sua maturità artistica, nel ridisegno della città di Avellino con la ricostruzione dell’antico edificio della Dogana, crollato al suolo nel 1656, nella ideazione dell’obelisco di Carlo II d’Asburgo datato 1668, e nella progettazione della Fontana di Bellerofonte, opere che rientrano nella categoria dei manufatti semidecorativi, nei quali, con particolare abilità, il Fanzago riusciva a fondere armoniosamente elementi architettonici e scultorei. Con la fontana di Bellerofonte l’artista pone in relazione, con effetto scenografico, le opere precedentemente ideate e costruite, tese a rendere d’impatto iconico l’arrivo nella città, a vanto e gloria del suo principe, munifico mecenate delle arti.

In conformità con l’estetica barocca lo spazio della fontana è prospetticamente inquadrato da due rampe di scalini atte a definirne il volume ed è caratterizzata da rapporti proporzionati tra le diverse parti del manufatto, un’armonia che connota non solo le forme ma anche l’uso della materia, costituita da blocchi di pietra bianca in breccia irpina con inserti in marmo bardiglio e pietra lavica.

L’opera nel suo insieme di forme e volumi è concepita per evocare un ineffabile mondo fluviale, con le due volute a spirale ai lati estremi della facciata a forma di conchiglia e il lento scorrere delle acque nella vasca sottostante atto a creare l’effetto scenico del movimento.

La struttura architettonica inquadra, ripartisce, crea l’illusione dell’azione, si impregna di luce e la riflette nell’alternanza di superfici concave e convesse, di calcare bianco e pietra grigia, di riccioli, lesene e pinnacoli, aggetti ed intarsi, in un incessante continuo divenire, senza scalfire la sua unità e la sua compattezza materica. C’è sempre, infatti, in questo percorso dinamico un punto in cui essa si può cogliere nella sua interezza, nel suo insieme, prima che la corrente spinga di nuovo alla ricerca di nuovi dettagli, alla scoperta di nuovi scorci.
Paola Apuzza

 

 



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