Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Salerno e Avellino
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Il terremoto del 23 novembre 1980. Ansie ed esperienze professionali di Giovanni Villani


quarantennale terremoto valva 2

Villa d'Ayala. Valva SA

 

 

Stavo tornando a casa! Mi aspettava tuttavia un viaggio impegnativo che prevedeva un percorso in autobus da Tricesimo a Udine, un treno per Roma Termini, un altro per Napoli Centrale ed infine l’autobus del servizio notturno dell’ATAN che mi avrebbe fermato a circa 2 Km. dalla mia abitazione a San Giorgio a Cremano; il resto del percorso l’avrei fatto a piedi in piena notte. Le altre volte avevo dovuto cambiare tre treni; questa volta invece ero riuscito a prendere il Romulus (espresso veloce proveniente da Vienna e che trainava, nella parte finale del convoglio, una o due carrozze con iscrizioni in cirillico perché provenienti da Mosca). Quel treno da Udine mi avrebbe portato fino a Roma Termini. Il viaggio era lungo; stavo prestando il servizio militare di leva (ndr. a seguito del sisma i Campani e i Lucani ne sarebbero stati esentati come accadde per i miei tre fratelli più giovani) presso il 114° Battaglione di Fanteria Meccanizzata di stanza a Tricesimo (UD). La Caserma Sante Patussi (oggi smantellata) faceva parte della catena di caserme poste a guardia del confine con la Iugoslavia e nelle quali operavano esclusivamente battaglioni operativi. Il comando mi aveva concesso una licenza breve 5 + 3 (ossia una licenza di 5 giorni oltre a tre per il viaggio) nel corso dei quali speravo di poter incontrare i miei amici e parenti (una pia illusione!). Il treno sarebbe arrivato a Roma Termini intorno alle 23.00; avrei dovuto attendere circa 45 minuti prima di prendere il treno per Napoli Centrale. Giunto a Napoli tutto si bloccò: la stazione Termini quella notte era un pullulare di persone che si muovevano freneticamente mentre gli avvisi dedicati alle partenze dei treni segnalavano interruzioni del traffico ferroviario per Napoli e per il Sud. Pensai al solito sciopero! Negli anni ’70 ne avevo visti tanti! Chiesi ad un capotreno che avevo incrociato nella stazione; mi disse che il traffico ferroviario era bloccato a causa di un violento terremoto che aveva colpito Napoli. Immediatamente mi recai ad un telefono pubblico per chiamare la mia famiglia; ma nessuna risposta! Allora pensai di chiamare zia Maria (la sorella di mia madre), ma niente! All’epoca non esistevano ancora i telefoni cellulari per cui l’unica possibilità di comunicare erano i telefoni pubblici a gettoni!

Me ne feci una ragione mi sedetti su una panchina nella speranza di contattare qualcuno per telefono (senza successo!) e soprattutto attendendo l’evolversi della situazione nella speranza che il traffico ferroviario venisse ripristinato. Mi balenarono nella testa bruttissimi pensieri. Pensavo: un terremoto a Napoli!? Con quei vicoli così stretti, sarà stata un’ecatombe! Questo pensiero mi tornava continuamente alla mente e lì nella stazione Termini nessuno era in grado di darmi informazioni. Dopo circa 4 ore comunicarono che sarebbe partito un treno per Napoli a seguito dell’ispezione effettuata con esito positivo alla linea ferroviaria. Salii su quel treno che partì intorno alle 4 e mezza: ero uno dei pochi passeggeri; mi sedetti in uno scompartimento vuoto e tentai di dormire anche se mi svegliavo ogni volta che il terno si fermava. E il treno si fermò tantissime volte fino alle 9 del mattino quando finalmente arrivò a Napoli (un viaggio Roma – Napoli durato più di 5 ore!). Uscii dalla stazione e mi rincuorai quando vidi che gli edifici erano ancora lì anche se Piazza Garibaldi era praticamente deserta. Qui parlai con un agente di Pubblica Sicurezza che mi disse che a causa del terremoto era crollato un palazzo in via Stadera ed era crollato il tetto dello Sferisterio a Fuorigrotta. Raggiunsi un telefono pubblico e feci alcune telefonate (i miei genitori ancora non erano raggiungibili…); allora richiamai di nuovo mia zia che mi invitò a casa sua (nel quartiere Poggioreale, a poca distanza dalla Stazione Centrale). Mia zia che mi riferì di essere riuscita a parlare con la sorella (mia madre) solo poco prima perché aveva trascorso con mio padre e i miei fratelli tutta la notte per strada! Era la mattina del 24 novembre! Mentre ero a casa di zia Maria giunsero alcuni tecnici della Circoscrizione lì inviati ad effettuare un primo rilievo dei danni (richiesto dai cittadini preoccupati da quanto accaduto in via Stadera). Tra i tecnici riconobbi Vincenzo, un mio compagno di Università che, dopo avermi raccontato di aver trascorso tutta la notte in giro per sopralluoghi, mi chiese se potevo presentarmi alla sede della Circoscrizione perché avevano bisogno anche della mia collaborazione. Cosa che feci il giorno seguente dopo essermi recato dai miei. L’incontro con il Presidente della Circoscrizione fu determinante perché da quel momento, e per i successivi 15 gg., fui incaricato di effettuare molti sopralluoghi ad edifici che presentavano danni. Uscivo alle 6 del mattino e tornavo a casa a mezzanotte, in squadra con un altro collega, con il quale effettuammo decine di rilievi dei danni strutturali che presentavano i vari edifici della zona compilando apposite schede che ci avevano consegnato alla Circoscrizione. Così trascorsi la mia licenza breve che nel frattempo, grazie al lavoro che stavo facendo, si allungò a 15 gg. a seguito di un permesso concesso dal Distretto Militare di Napoli in accordo con la Circoscrizione Poggioreale. Durante questi giorni frenetici pensai al lavoro che avevo dovuto lasciare a causa della leva obbligatoria. In realtà da circa due anni ero già un funzionario del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali e prestavo servizio presso la Soprintendenza Archeologica della Lombardia in Piazza Duomo a Milano. Pensai: chissà se è possibile incontrare colleghi della Soprintendenza operanti sui Beni Culturali nella zona del sisma (nel frattempo si era capita la vera dimensione del sisma e della sua violenza, gli approfondimenti effettuati stabilirono che l’epicentro era stato in Irpinia). Mi recai al Palazzo Salerno in Piazza del Plebiscito (sede del Comando Militare Territoriale) e lì conobbi il compianto arch. Riccardo Mola (dirigente del MiBCA) che, a causa del sisma, era stato cooptato dall’on. Giuseppe Zamberletti (responsabile della Protezione Civile), quale rappresentante del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali per le necessarie supervisioni tecnico – scientifiche che sicuramente sarebbero state necessarie dopo la prima fase post sismica nella quale, come è noto, ci si preoccupa soprattutto di salvare le persone rimaste intrappolate fra le macerie oppure di recuperare le salme di quelli che non ce l’hanno fatta! L’arch. Mola mi disse che era stata istituita a Palazzo Reale una Sezione Operativa post sisma diretta dall’arch. Mario De Cunzo (che però io non conoscevo) per cui mi suggerì di chiedere un incontro con lui a suo nome, aggiungendo che l’arch. De Cunzo, pur essendo molto impegnato, mi avrebbe sicuramente ricevuto. Così feci!

Incontrai Mario De Cunzo! Non ricordo bene la data, ma sicuramente doveva essere prima della fine di novembre 1980. Mario aveva organizzato la Sezione Operativa per le Province di Salerno e Avellino nella Sede della Soprintendenza ai Monumenti della Campania, in un salone di Palazzo Reale (oggi occupato dalla Segreteria del Soprintendente). Dopo aver ascoltato il mio racconto, Mario De Cunzo, seduta stante, prese un foglio di carta intestata sul quale scrisse una lettera al Comando del Battaglione dove prestavo servizio chiedendo di autorizzare il mio distacco presso la Sede Operativa di SA e AV sotto la sua direzione. Ma purtroppo ciò non accadde tant’è che scaduti i 15 giorni fui costretto a tornare a Tricesimo dove rimasi fino all’inizio di luglio del 1981, ossia fino al congedo. Ora però dovevo tenere fede ai miei impegni di funzionario della Soprintendenza Archeologica della Lombardia e quindi, dopo pochi giorni di permesso passati a casa dei miei genitori, dovetti partire per Milano. Nel frattempo era stata emanata la Legge 14.5.1981 n. 219 che prevedeva le modalità di intervento nelle zone colpite dal sisma. Con D.M. 4.7.1981 il Ministro per i Beni Culturali e Ambientali, l’on. Vincenzo Scotti, con proprio decreto aveva istituito n. 4 sezioni operative in Campania che, con l’art. 5 – sexies della Legge 6.8.1981 n. 456 furono trasformate in Soprintendenze. Nello specifico furono istituite le Soprintendenze per i Beni Ambientali, Architettonici, Artistici e Storici per le Province di Salerno e Avellino e per le Province di Caserta e Benevento, la Soprintendenza Speciale di Pompei e la Soprintendenza di Coordinamento per gli Interventi post-sismici per la Campania e la Basilicata (oggi non più esistente). L’istituzione dall’oggi al domani di nuovi Uffici dei Beni Culturali in Campania rappresentò una importante azione; tuttavia essa nascondeva non pochi problemi perché i nuovi Uffici istituiti erano privi di personale. E fu così che l’architetto Mario Antonio De Cunzo (ormai Soprintendente) avviò una sorta di campagna di sensibilizzazione dei funzionari del Ministero in servizio in altre aree del paese, ma originari della Campania, per indurli al trasferimento nella neonata Soprintendenza. Diciamo che in questo fui abbastanza fortunato perché, avendo presentato richiesta al mio ufficio di appartenenza (la Soprintendenza Archeologica della Lombardia) questa fu immediatamente accettata. C’era un motivo! La dottoressa Maria Giuseppina Cerulli Irelli (Soprintendente Archeologo della Lombardia) era stata nominata Soprintendente di Pompei (uno dei nuovi Uffici istituiti dal Ministro Scotti). Per questo motivo già il 5 ottobre 1981 entrai a far parte del personale della neonata Soprintendenza. Mario De Cunzo mi affidò subito diversi incarichi, sia come funzionario di zona che come addetto alla supervisione di interventi di restauro avviati poco tempo prima del sisma e che, proprio a causa del sisma, avrebbero potuto avere ricadute negative a causa dei danni provocati ad alcune strutture a causa del sisma. Fra tutti cito il caso del Duomo di Nocera Inferiore dove il sisma aveva provocato un considerevole dissesto delle coperture ed in modo particolare della copertura della cupola estradossata (coperta con un tetto a falde anch’esso danneggiato dal sisma). La particolarità di quella cupola era che al suo intradosso presentava un bellissimo ciclo di affreschi realizzati da Angelo Solimena (sec. XVIII). C’era bisogno di nominare uno strutturista abituato ad operare in contesti culturali al fine di trovare le opportune soluzioni per intervenire. L’incarico fu affidato al prof. Giovanni Castellano (che era stato tra l’altro il mio professore di Scienza delle Costruzioni all’Università); il piacere di rivedere il professore fu immenso. Quando mi propose di effettuare un sopralluogo ne fui subito entusiasta anche se poi in cantiere, arrampicandoci con una scala sui tetti per poterli guardare da vicino, sentii un improvviso scricchiolio accompagnato da un sordo crack. Alcune tegole si erano rotte sotto il peso della mia mole (non sono mai stato magro, mentre il prof. Castellano lo era e poteva camminare indisturbato sul manto di tegole); rischiai di cadere all’interno della navata con un volo di diversi metri. La caduta tuttavia fu bloccata dall’interasse degli arcarecci che non consentirono il passaggio del mio abbondante corpo. La sera stessa ricevetti una telefonata dall’arch. De Cunzo che, preoccupatissimo dell’accaduto, mi invitò ad essere più attento. Ma, nonostante ciò, i sopralluoghi per la verifica del territorio a me assegnato diventarono sempre più frequenti; a volte rimanevo in giro fino a tardi nella consapevolezza che stavo perseguendo il nobile obiettivo di dare il mio contributo alla soluzione di problemi messi in evidenza da una vera e propria tragedia che aveva coinvolto tre regioni. Questa esperienza e soprattutto i sopralluoghi effettuati mi fecero rendere conto della reale portata della catastrofe. Ancora oggi, a distanza di 40 anni, ci sono interventi che non si sono potuti realizzare per la mancanza delle necessarie risorse. Eppure di risorse ne sono state erogate tante grazie ai finanziamenti della Legge 14.5.1981 n. 219, il cui spirito in alcuni casi fu purtroppo travisato da soggetti che perseguivano obiettivi diversi dai nostri. Fra gli interventi non completati voglio citare fra tutti la Villa d’Ayala Valva di proprietà del Sovrano Militare Ordine di Malta le cui strutture e decorazioni rimasero alle intemperie per ben 26 anni prima che si intervenisse prima con i Fondi del P.O.R. Campania 2000-2006 e poi con il P.S.R. 2007-2013. Interventi importanti, ma che hanno consentito solo la messa in sicurezza e il rifacimento delle coperture, ma non hanno consentito la fruizione del complesso architettonico la cui bellezza è accresciuta dal bellissimo Parco ricco di essenze rare, ma soprattutto ricco di un patrimonio statuario di grande rilevanza artistica e di grande suggestione.

Eppure dalla catastrofe si possono trarre tanti elementi che ci hanno indotto ad operare in modo più attento, soprattutto perché avevano portato all’attenzione dell’intero Paese un territorio che, prima di allora, non era conosciuto ancorché fosse ricco di storia e di cultura. La mancanza di consapevolezza di appartenenza ad un territorio sismico non fu determinato solo dalla perdita di memoria da parte della popolazione, ma anche dalle insufficienti norme al riguardo. Basti pensare che la Legge 64 del 1974 (la legge sismica nazionale) non annoverava l’Irpinia e il Salernitano fra le zone sismiche. Quindi anche i tecnici non erano preparati su tali argomenti; furono organizzati quindi convegni, seminari, pubblicazioni e indagini in situ per far sì che i tecnici operanti nel contesto sismico si appropriassero del necessario bagaglio tecnico. Solo nel gennaio del 1983 fu emanata la Legge Regionale n. 9 che imponeva le verifiche sismiche e quindi i rapporti con il Genio Civile in quasi tutta la Campania. La legge prevedeva anche la nomina del Collaudatore in Corso d’Opera (una figura che prima non esisteva) e il rapporto con i geologi, professionisti che proprio a partire dal sisma del 1980 furono maggiormente coinvolti sia nella programmazione urbanistica che nell’attività di costruzione dei singoli edifici. Come già detto un elemento salito alla ribalta nel post sisma fu quello della improvvisa ribalta a cui era assurto il territorio colpito dal sisma che nascondeva elementi di notevole interesse sotto il profilo architettonico, ma soprattutto sotto il profilo culturale e paesaggistico. Lo ammetto! Prima del 23 novembre 1980 non sapevo nemmeno che esistessero paesi come Campagna, Valva o Oliveto Citra o, ancora, Salza Irpina, Sorbo Serpico o San Mango sul Calore.

In conclusione devo dire che gran parte della mia esperienza l’ho acquisita proprio in questo periodo nel quale mi sono convinto che i mali e le catastrofi si verificano per indurre l’Uomo a lavorare meglio al fine di migliorare le condizioni della sua esistenza su questo pianeta. Sarebbe bastato un censimento dei terremoti storici (cosa che poi è stata fatta solo dopo) per capire che in Campania non solo Casamicciola Terme era da considerarsi un comune sismico. Nonostante le criticità lamentate è importante non dimenticare che il sisma dell’Irpinia ha fatto sì che venisse promossa la ricerca sui terremoti su tutto il territorio nazionale e venisse valorizzata la figura dei geologi il cui lavoro in questo settore è di vitale importanza. In definitiva, nonostante le distruzioni e i morti di quel terremoto, ritengo di aver ricevuto un innegabile arricchimento da quella esperienza e non solo sotto il profilo professionale, ma soprattutto dal punto di vista umano.

Giovanni Villani, già Funzionario architetto della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Salerno e Avellino.

Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale

 Terremoto dell'Irpinia, 40 anni dopo.

 

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